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IL
NOSTRO MONDO, inizio e fine di un ciclo di divenire |
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Anticipazioni sulla struttura e sui numerosi fenomeni che interessano
il nostro mondo sono state date nei capitoli precedenti e ciò
è avvenuto perché resosi necessario, sia per giungere
ad una corretta definizione dei concetti di spazio, tempo e divenire,
sia per individuare le condizioni iniziali che hanno consentito
la nascita del nostro mondo, e infine con lo scopo di gettare le
basi per il raggiungimento dell’obiettivo principale di questo
lavoro: la smentita dell’esistenza di uno spazio-nulla attraverso
una nuova e diversa interpretazione dei fenomeni fisici, condizionati
da uno spazio pieno di materia.
A questo adempimento, non facile, è stato possibile giungere
soltanto dopo un giudizio critico che riguarda la teoria della relatività,
e buona parte della meccanica classica, pertanto i fenomeni fisici,
che saranno riproposti, avranno una collocazione nuova il che conduce,
inevitabilmente, ad una sconfessione della loro interpretazione
attraverso queste due teorie oggi considerate in parte rivali.
L’esperienza ci dice che nel nostro mondo non esiste
energia “autonoma”, avente un proprio volume, poiché
rimane costantemente legata alla massa, mentre nel caso dell’energia
luminosa, questa risulterebbe essere l’unica eccezione ma
a condizione che fosse accertato che lo spazio sia sicuramente vuoto
di massa.
L’esistenza d’energia, in forma intrinseca nell’universo
primordiale, è sufficiente a giustificare la presenza di
tutte quelle altre “libere” (così chiamate per
essere disponibili a trasferirsi da un corpo all’altro unitamente
al rispettivo contenitore naturale, il quanto di massa), presenti
nel nostro mondo, ed esclude l’idea che la massa possa essere
un addensato d’energia.
Riuscire ad unificare le varie forme d’energia è stato
da sempre un’ardita ambizione di tutti i fisici, ma ancora
più difficile si presenta ora il compito in conseguenza della
necessità di doverle ricollegare a quell’unica forma
d’energia intrinseca che appartiene all’universo
primordiale.
Un criterio razionale di diversificazione dell’energia, può
essere quello della valutazione del grado di pregio che questa ha
acquisito, attraverso lo stato di addensamento raggiunto dalla particella
che la contiene. Poiché nel nostro universo la massa è
presente in stati di addensamento crescenti, a cui corrispondono
particelle diverse, anche l’energia intrinseca,
a queste legata, deve essere sottoposta ad un accrescimento che
va riferito ad un suo attributo, la “potenza”, il cui
valore massimo è quello presente nell’elettrone, per
avere questa particella raggiunto lo stato ultimo di addensamento.
Questa energia, posseduta dall’elettrone, consente il suo
movimento di spin e quello orbitale che non cesseranno mai per l’impossibilità
che questa energia possa lasciare la particella.
L’energia elettromagnetica è invece
energia “libera” che verrebbe trasferita dalla particella
termica all’elettrone unitamente al quanto di massa addensato
che la contiene. Questo trasferimento va visto attraverso un fenomeno
che conduce ad un ulteriore addensamento della particella ricevente,
addensamento questo che, presentandosi instabile, perché
produce effetti negativi riguardanti l’equilibrio dinamico
(movimento di spin), e quello elettrico (aumento della carica negativa),
fa nascere la necessità del loro ripristino che può
avvenire soltanto attraverso il fenomeno espulsivo della massa-energia
ricevuta, a cui farà seguito altro assorbimento, sia da parte
di altra particella, sia da un granulo dello spazio che, in questa
ultima evenienza, conduce alla nascita di fotoni che, riuniti in
flussi secondo le modalità in precedenza descritte, si identificheranno
con i raggi luminosi. Quando l’elettrone passa dallo stato
eccitato a quello stazionario, pur continuando a ruotare non emette
energia elettromagnetica, e ciò in contraddizione con le
leggi dell’elettrodinamica. Questo accade perché risulta
essere in possesso soltanto d’energia intrinseca.
Il trasferimento d’energia libera da una
particella poco addensata ad altra più addensata, attraverso
l’ulteriore stato di addensamento che verrebbe conseguito,
ne aumenta la “potenza” mentre il procedimento inverso
porta ad un “degrado” dell’energia, di conseguenza,
i ripetuti trasferimenti all’elettrone di energia termica,
provocano oltre ad un aumento dello stato di addensamento, anche
quello della potenza (il che esclude l’esistenza di una trasformazione),
che, con il nome di energia elettromagnetica, si rende responsabile
dei fenomeni elettromagnetici.
Se questo nuovo tipo d’energia (libera) si trasferisce dall’elettrone
ai granuli dello spazio, mantiene la potenza acquisita, e ciò
perché a questo trasferimento va associato quello del quanto
si massa addensato (formato da diversi quanti di massa) che la contiene
che, determinando, con la sua presenza, un aumento della carica
elettrica negativa del granulo ricevente, produce, di conseguenza,
una turbativa dell’equilibrio elettrico esistente tra il granulo
e lo spazio circostante, e da qui nasce la necessità del
suo ripristino attraverso un successivo trasferimento in altro granulo,
e ciò di seguito con la velocità c.
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E’ quanto accade nel divenire che riguarda i
fenomeni luminosi, mentre nella circostanza che si verifichi il ritorno
all’elettrone di questa energia, si giunge, dopo ripetuti trasferimenti,
ad un aumento della velocità dell’elettrone che sarà
costretto ad abbandonare l’atomo. Questo fenomeno è conosciuto
col nome di effetto fotoelettrico.
L’energia (elettromagnetica), posseduta da un elettrone, quando
si trasferisce in una particella termica, determina un notevole aumento
dell’intensità del calore. E’quanto accade all’energia
che si libera nel filamento di una lampadina o in quello di una stufa
percorso da elettroni, al momento dell’interazione con una carica
positiva (interazione questa che presenta un parallelismo con quella
che conduce ai fenomeni di annichilazione, poiché anche questi
conducono alla liberazione di energia) L’aumento del calore,
di solito, avviene attraverso lo scambio di “particelle termiche”
con altro corpo surriscaldato, che, ricevendo particelle “più
fredde” consente il raggiungimento della condizione di equilibrio
termico.
Le altissime temperature raggiunte al momento del Big-Bang (di nuova
versione) sono una ulteriore conferma del trasferimento alle particelle
termiche d’energia libera di potenza superiore a quella elettromagnetica,
energia questa che si è liberata nell’antimondo in occasione
dei fenomeni di annichilazione. Questo tipo d’energia, se trasferita
alle particelle cinetiche, rimane la responsabile di quei fenomeni
esplosivi che hanno consentito il trasferimento di ammassi di materia
addensata, dall’antimondo a quella porzione di supermondo destinata
a risultare lo spazio del nostro universo.
La potenza dell’energia “libera”,
poiché dipende dallo stato d’addensamento conseguito
dal suo contenitore, subisce un “degrado” nel caso di
un suo trasferimento in una particella poco addensata, poiché
minore risulterebbe lo stato di addensamento che verrebbe raggiunto
dal suo contenitore (la particella ricevente) rispetto a quello precedente,
degrado che si traduce nell’esistenza di energia di potenza
inferiore ma aumentata d’intensità, termine questo che
va riferito non già ad una grandezza da misurare con specifiche
apparecchiature, ma al grado di “vistosità” dei
fenomeni prodotti che, se riferiti alla particella termica, riguardano
l’aumento del calore, mentre, se riferiti alla particella cinetica,
l’aumento della velocità.
Quella che oggi è considerata una trasformazione o
conversione dell’energia, accompagnata da un degrado, è
il risultato del trasferimento da una particella più addensata
ad altra meno addensata, di contro, quando si verifica il
percorso inverso, la potenza aumenta e diminuisce l’intensità:
è quanto accade all’energia termica quando si trasferisce
dalla particella termica all’elettrone, per cui occorrono ripetuti
trasferimenti (e addensamenti) per giungere oltre che ad un aumento
della potenza anche a quello dell’intensità, qual è
quella necessaria per consentire l’istaurarsi dei fenomeni elettromagnetici.
Va rilevato che il degrado dell’energia, accompagnato da un
aumento dell’intensità, trova un preciso riscontro in
quel fenomeno conosciuto col nome d’attrito, che va giustificato
non già come effetto prodotto da una forza, ma attraverso il
semplice trasferimento d’energia cinetica, presente in un corpo
in movimento, a particelle termiche, trasferimento che conduce inevitabilmente
ad una riduzione della velocità e ad un aumento del calore.
Questo fenomeno merita di essere sottoposto ad un’accurata indagine
sulle varie fasi che lo compongono in modo da consentire di escludere
la partecipazione di una forza.
L’attrito risulta essere presente tutte le volte che le superfici
di due corpi strisciano una sull’altra in conseguenza del moto
che, se è rettilineo si parla d’attrito radente, mentre
se rotatorio è usato il termine d’attrito volvente, in
entrambi i casi si giunge ad una progressiva riduzione della velocità
fino a giungere alla cessazione del moto, il tutto accompagnato sistematicamente
da un aumento dell’intensità del calore. |
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Poiché il primo principio della dinamica
afferma che “un corpo permane nel suo stato di moto rettilineo
uniforme fino a quando non sia costretto a mutarlo per effetto di
forze impresse” si è finito per escludere l’esistenza
di una “causa” che possa condurre a questo risultato che
non sia quella che si identifichi con una forza, escludendo che possa
avvenire in conseguenza di una riduzione del contenuto di energia
cinetica. Da qui è nato il convincimento che tra le molecole
di due corpi, che si trovano a contatto, nascano forze attrattive
di breve raggio d’azione e di una certa intensità, e
questo pur convenendo che si tratta di un fenomeno molto complesso
poiché entrano in giuoco tanti altri fattori di cui, purtroppo,
non siamo in grado di stabilire in quale misura e in che mondo esercitano
la loro influenza.
Tra le leggi dell’attrito, frutto di rigorose prove sperimentali,
meritano di essere segnalate le seguenti:
1) l’attrito radente rimane indipendente dall’area
delle superfici di contatto.
2) l’attrito radente e l’attrito volvente si possono considerare
indipendenti dalla velocità.
3) l’attrito radente e l’attrito volvente sono sempre
maggiori all’inizio del moto che durante il moto
Queste tre leggi non ci dicono nulla sulle cause che producono un
aumento dell’intensità del calore, per cui l’interpretazione
di questo fenomeno è stata ricondotta ad una trasformazione
termodinamica che consente di rimanere in pieno accordo con la legge
di conservazione dell’energia..
L’intendimento dominante di questo lavoro rimane rivolto a conseguire
il fine di escludere la presenza di forze nell’interpretazione
dei fenomeni fisici, di conseguenza, non può ritenersi completato
questo compito, fino a quando non saranno stati presi in esame anche
quegli altri fenomeni che, anche se meno rilevanti dei precedenti
affrontati, hanno come denominatore comune la presenza di una forza
e in special modo quando questa si presenta formulata ad hoc e priva
di quel requisito (presenza di una particella mediatrice), che ritroviamo
nelle altre forze.
Un buon motivo che consente di escludere l’esistenza della forza
d’attrito, è il seguente: trattandosi di una
“forza a carattere universale”, non può esistere
in natura poiché, determinando la cessazione del moto,
si opporrebbe al divenire dell’universo che, rimane governato
dal moto, il che finisce per condurre all’implicita ammissione
che la natura, in determinate circostanze, contraddica se stessa.
In queste condizioni bisogna convenire che ci troviamo in presenza
di un “fenomeno naturale” che conduce sì ad una
riduzione dell’energia cinetica e, conseguentemente, alla cessazione
del moto, ma determina al contempo, attraverso l’aumento del
calore, un aumento dell’entropia che rimane un obbiettivo prioritario
da perseguire e a cui non è consentito opporsi.
Per sconfessare la presenza di una forza nel fenomeno dell’attrito
la strada da seguire rimane quella rivolta ad una corretta interpretazione
del fenomeno, e ciò tenendo conto che non c’è
dato sapere in che modo l’azione di una forza attrattiva, posa
condurre alla “conversione” dell’energia meccanica
in termica. In queste condizioni rimane più utile porre l’attenzione
soltanto sugli unici veri protagonisti del fenomeno che vanno individuati
nelle particelle cinetiche e termiche lasciando che rimangano escluse
le superfici a contatto perché ininfluenti, secondo quanto
previsto dalla prima legge anche se si riferisce soltanto all’attrito
radente.
La conclusione, a cui conduce un primo semplice ragionamento logico
deduttivo, è la seguente: se ammettiamo che, in assenza di
forze, determinate particolari circostanze possano condurre le particelle
termiche a sottrarre energia alle particelle cinetiche, rimane giustificato
il risultato che verrebbe conseguito, consistente in un aumento del
calore e in una riduzione della velocità.
Da qui nasce la necessità d’individuare le modalità
che conducono alle interazioni tra le due particelle e che possono
essere riferite sia ai fenomeni d’attrito sia a quegli altri
in cui, in assenza di forze, si assiste ad un aumento della temperatura
a spese dell’energia cinetica.
In questo schema d’indagine occupa il primo posto, strano a
dirsi, il fenomeno dell’evaporazione dell’acqua. Quando
stendiamo dei panni ad asciugare l’esperienza ci dice che attraverso
l’esposizione ai raggi del Sole o ad una sorgente di calore,
l’evaporazione dell’acqua avviene rapidamente e ancora
di più se è presente una ventilazione dell’aria,
e ciò senza avere la conoscenza dei fenomeni che conducono
al potenziamento dell’azione del calore, ritenuto, a ragione,
l’unico responsabile del cambiamento di stato dell’acqua.
Rimane, a questo punto, senza risposta il quesito rivolto a conoscere
i motivi che possono giustificare il ripetersi dello stesso fenomeno
di notte e in assenza di una fonte di calore, condizioni queste che,
da sole, non consentirebbero il raggiungimento di quel numero di calorie
(600 grandi calorie per chilogrammo di acqua evaporata) necessarie
per determinare il fenomeno dell’evaporazione. L’unica
risposta convincente rimane la seguente: la causa responsabile di
produrre l’evaporazione dell’acqua presente nei panni,
non può essere individuata soltanto nel calore presente nell’ambiente,
che si trasferirebbe gradualmente nell’acqua, e ciò perché,
una volta raggiunta la condizione d’equilibrio termico, nessun
trasferimento di calore (attraverso le particelle termiche) si renderebbe
possibile e, di conseguenza, quello che è stato assorbito si
presenterebbe insufficiente per compiere quel lavoro che consente
il fenomeno dell’evaporazione. In queste condizioni la responsabilità
del fenomeno va riferita unicamente alla “differenza di temperatura”
esistente inizialmente tra l’acqua e l’aria e ciò
perché consente alle particelle termiche d’essere presenti
alla periferia del corpo e cioè nello spazio che rimane in
comune con le molecole dell’aria dove sono anche presenti le
particelle cinetiche responsabili del moto di queste molecole. |
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