APPENDICE BIOGRAFIA
  APPENDICE

 

Tutti i testi relativi al sito sono tratti dal volume

Sante Burderi
SUPERMONDO, ANTIMONDO, IL NOSTRO MONDO, IL MONDO DI DIO

Armenio Editore, Brolo

formato 15x21 pagg. 352 - ISBN 889655708-9 .... € 15,00

 

 


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BREVI NOTE CONCLUSIVE

 

La filosofia di B.Spinoza, allo scopo di superare il dualismo di Cartesio, che prevede l’esistenza di una sostanza infinita, Dio, e una sostanza finita, il nostro mondo (a sua volta suddivisa in res cogitans e res extensa), perviene, attraverso un monismo di sostanza, ad un panteismo assoluto e ciò attraverso l’ipotesi che la sostanza divina possieda infiniti attributi e, di conseguenza, sia le cose spirituali sia quelle materiali non sarebbero altro che modi di essere o modificazioni di questi attributi.
Il modello d’universo, fin qui elaborato, è suggerito da questa filosofia dalla quale si differenzia perché prevede una diversa assegnazione degli attributi che andrebbero riferiti alla sostanza materiale infinita (il supermondo), da cui, attraverso un processo di trasformazione, deriverebbero i modi di essere che si identificano nell’immanente e nel trascendente.
Questo è reso possibile qualora presumiamo che, durante il processo evolutivo, si sia verificata una diversificazione che abbia condotto all’esistenza di due modi di essere: l’immanente e il trascendente..
In questo caso l’ipotesi spinoziana del monismo di sostanza risulterebbe confermata, ma lascerebbe aperto il problema d’individuare la causa responsabile della primitiva trasformazione.
Va fatto osservare che quest’identità di sostanza e d’origine non inficia in alcun modo la trascendenza della sostanza divina poiché non sussiste alcun motivo valido che consenta di mettere in discussione la prerogativa di Potenza Somma ove la si consideri un attributo o modo di essere dell’universo primordiale specie se si prende in considerazione che, da altra semplice diversificazione del processo evolutivo dell’universo è stato possibile giungere alla notevole disparità esistente tra materia inerte e mondo vivente.
Questa primitiva interpretazione merita di essere abbandonata perché rimane inspiegabile la modifica della condizione d’immutabilità che avrebbe coinvolto una porzione finita dell’universo primordiale, modifica che, vista dal punto di vista fisico, avrebbe richiesto un intervento (energia in grado di produrre lavoro) che traesse la sua origine dall’esterno del sistema.
Venendo a mancare un esterno al sistema, per essere questo d’estensione infinita, non rimane altra soluzione che non sia quella dell’inserimento di altra entità vista come “pregevole inclusione” che, per trovarsi, attraverso questa sua posizione, esterna a quella porzione del sistema con cui confina, rende possibile, attraverso un suo intervento, l’istaurarsi di quelle trasformazioni che fanno parte delle condizioni iniziali e che avrebbero condotto all’esistenza del nostro mondo.
Questo ripiego, resosi indispensabile, per superare le contraddizioni derivanti dall’ipotesi dell’atto creativo, è servito al contempo di fare emergere la presenza di una Potenza Somma, vista in una veste più razionale perché d’estensione finita (la sola che rimane compatibile con quella di un Dio vivente) e sottoposta a un divenire che gli consente di suscitare e pilotare altri divenire..
Il risultato più sorprendente, raggiunto attraverso quest’ipotesi, è stato quello di dare un volto al Dio Cosmico e di consentire di giungere ad una dimostrazione sia della sua esistenza, sia di quella dell’anima (per essere questa una sua emanazione).
A differenza dell’uomo, il Dio Cosmico rimane appagato da se stesso pertanto non può provare compiacimento nel ricevere ovazioni osannanti accompagnate da effluvi d’incenso e considera un atto d’amore diretto verso la sua persona quello riservato ai poveri, agli afflitti, agli infermi ecc., di rimando, il legame che ha con l’uomo è dettato dal dominante bisogno di profondere amore attraverso quella sua manifestazione principale che si identifica col nome di “provvidenza”.
Le tre grandi religioni monoteiste (cristianesimo, islamismo, ebraismo) oltre ad avere una visione di Dio del tutto antropomorfa, perseguono un fine comune ben preciso: il culto di Dio che finisce per rivestire un ruolo predominante perché finalizzato all’esaltazione e venerazione della Sua Persona, e ciò per conformarsi con l’osservanza di un preciso dettato divino che sarebbe stato trasmesso attraverso le “rivelazioni” dei profeti.
Il destino di queste religioni, proprio per essere strettamente dipendenti dalle rivelazioni, è stato quello di avere dato luogo ad interpretazioni diverse e, a volte, contrastanti dei testi che le contengono, provocando profonde lacerazioni dottrinali che hanno condotto alla nascita di gruppi diversi facenti capo ciascuno a specifiche interpretazione dei testi sacri.
Per questi motivi il credo religioso ha finito per frammentarsi in una molteplicità di confessioni scismatiche che, godendo ciascuna del credito di determinati gruppi etnici, ha finito per imporsi e conquistare un certo prestigio e autonomia che ha condotto, nel migliore dei casi, a mantenere rapporti di tolleranza verso altri gruppi, tolleranza questa che si è dimostrata essere soltanto temporanea poiché ha fatto seguito in determinate circostanze (inserimento d’interessi politici ed economici), a lotte fratricide sfociate in vere e proprie stragi di popolazioni.
Con le stesse motivazioni questi episodi si ripetono anche ai nostri giorni e le guerre di un tempo, suggerite da interessi economici e da scopi di predominio commerciale e strategico, sono state sostituite da guerre di religioni.
Un esempio eloquente ci proviene dalla Palestina dove il popolo ebraico vanta un diritto di possesso del territorio che occupa, facendo riferimento a quanto riportato dalle sacre scritture, dove è precisato che quella regione sarebbe stata assegnata proprio da Dio al “popolo eletto” più quattromila anni fa !
Oggi suscita scalpore e sdegno nel mondo occidentale l’osservanza del principio della guerra santa (gihad) che è sancito in altro libro sacro, il Corano, contenente “rivelazioni” fatte da Dio al profeta Maometto e, al contempo, vengono sottaciute altre guerre sante (le crociate) promosse contro queste stesse confessioni religiose dalla Chiesa di Roma.
Attraverso questo tipo di cultura religiosa le distanze che ci separano dal Dio Cosmico rimangono abissali, mentre non lo sono le filosofie-religioni orientali e ciò perché non prevedono rituali di culto di Dio e dirigono la loro attenzione unicamente sull’uomo. Questo accade nel Buddismo che si occupa dell’intelletto, nel Brahmanesimo che è rivolto alla parte spirituale, mentre nel Taoismo è l’intero corpo umano che rivestirebbe un ruolo importantissimo perché capace di costruire in se stesso un’anima, che si sostituirebbe al corpo e che lascerebbe al momento del suo disfacimento così come fa una farfalla con la sua crisalide.
Nella religione buddista rimane privilegiato il conseguimento della consapevolezza della verità (nirvana), mentre nel taoismo lo scopo da conseguire rimane quello del raggiungimento dell’armonia con il ritmo del cosmo attraverso la meditazione, che consentirebbe all’io spirituale di acquisire, dopo la morte fisica, un’unione mistica con il Tao (Dio).
Nel confucianesimo, infine, prevale la dottrina dello Jen che si preoccupa di una giusta organizzazione delle relazioni umane attraverso un insieme di virtù (mitezza, bontà, benevolenza) che conducono all’uomo saggio, che, avendo raggiunto il gradino più alto della perfezione, finisce per diventare un modello da seguire.
E’ facile costatare che in queste religioni il culto di Dio rimane disatteso ma in compenso la sua immagine non è stata stravolta (così come si è verificato nelle religioni occidentali), pertanto, è prevedibile per queste religioni un più facile accoglimento del Dio Cosmico, il che non è di poco conto se si considera la stragrande prevalenza nel mondo dei seguaci di queste dottrine.
Per amore della verità è giusto rilevare che l’induismo, nato come religione monoteista, ha finito per perdere la sua identità originaria e trasformarsi in un olimpo di divinità diverse con conseguente nascita di sette diverse a queste legate (Silvanismo, Brahmanesimo, Salktismo) dettate dalla necessità d’adattamento alle condizioni culturali e socio-politiche di gruppi etnici locali.
Pure l’Islam non è stato immune dal formarsi di sette scismatiche e accanto ai sunniti, che costituiscono 83 % di tutti i musulmani, si collocano altri gruppi non meno importanti come gli sciiti od olidi, seguaci di Oli (ritenuto legittimo successore di Maometto per essere stato suo genero e cugino), i drusi, i curdi ecc, legati ciascuno ad un capo religioso di grande prestigio e che dispone di un potere assoluto.
Il Cristianesimo è pure frammentato in più correnti scismatiche che abbracciano dottrine collegate ad una diversa interpretazione delle sacre scritture.
A questo dedalo di convinzioni religiose, destinato ad accrescersi, nessuno si è preoccupato di porre rimedio e, paradossalmente, c’è qualcuno che oggi sostiene che sia giusto vantare, perché ritenute valide, le proprie radici giudaico–cristiane risalenti ad Abramo, vissuto quattro mila anni fa!
Queste argomentazioni non sono state fatte con lo scopo di suggerire la proposta di cambiare il proprio Dio con il Dio Cosmico ma per ottenere una risposta al seguente quesito: vogliamo continuare a perseverare nel comportamento finora seguito, rivolto a mantenere vive le attuali convinzioni religiose pur essendo consapevoli che queste oggi, come in passato, si sono rivelate responsabili di suscitare tra gli uomini contrasti insanabili accompagnati da stragi d’innocenti, oppure perseguire l’ambizioso traguardo di unificazione del credo religioso che certamente farebbe nascere sentimenti di fratellanza e di amore ed eviterebbe, al contempo, l’affermarsi di una cultura atea oggi già presente e molto diffusa tra uomini di cultura e di scienza?
Nel caso che riteniamo essere più saggio aderire alla seconda alternativa, espressa dal quesito, non rimane altro da fare che promuovere un movimento di pensiero che risvegli le coscienze attraverso il convincimento che sia giunto il momento non già di una rinuncia al proprio Dio, ma di vedere questo Dio, una volta liberato da quelle deformazioni e storture provenienti da una tradizione arcaica, legata a convinzioni primitive e grossolane, ricomposto nell’immagine del Dio Cosmico disponibile ad assistere e a profondere infinito amore all’umanità intera senza discriminazioni.
Questa nuova interpretazione di Dio, poiché stravolge intendimenti consolidatesi nel corso degli ultimi due millenni, non potrà che suscitare contestazioni e dissensi che, una volta sedati, condurranno alla nascita di una nuova scuola di pensiero aperta e disponibile all’accettazione dell’esistenza del Dio Cosmico, già previsto, da A. Einstein, che rimpiazzerà le attuali interpretazioni divenute ormai vecchie e anacronistiche con quel nuovo evo che sta per nascere perché apparterrà al terzo millennio.

POSTFAZIONE

 

Il lettore certamente si sarà chiesto perché argomenti tanto diversi riguardanti la fisica e la teologia siano stati trattati in un unico libro.
Mi premuro a dare una risposta a questo legittimo interrogativo: il denominatore comune alle due discipline è il nulla oggi considerato indispensabile per spiegare sia tutti i fenomeni legati al divenire, sia l’esistenza di Dio, basata quest’ultima sul convincimento che soltanto attraverso la presenza di un Dio creatore dal nulla è possibile giungere all’esistenza dell’universo che, a sua volta, giustificherebbe l’esistenza di Dio.
Questo concetto non soltanto pone sullo stesso piano esistenziale Dio e il nulla, ma esalta questo ultimo fino al punto di essere in grado di condizionare la possibilità creativa di Dio che, una volta privato di questa opportunità, attraverso la mancanza del nulla, finirebbe per consentire di avanzare riserve sulla sua esistenza, poiché oggi non siamo disponibili ad accettare l’idea di un Dio che non sia creatore.
Fino a quando l’esperienza, che ci proviene da una interpretazione, a mio avviso distorta, dei fenomeni fisici, ci lascia convinti dell’esistenza di uno spazio-nulla, ben difficilmente troverebbero posto le mie argomentazioni rivolte a dimostrare l’esistenza di Dio proprio e soltanto attraverso la negazione del nulla.
Sono consapevole delle ostilità che mi toccherà ricevere non soltanto dalla Chiesa di Roma, che sicuramente mi condannerà per apostasia, ma anche da parte di quei fisici che ben difficilmente accetteranno l’idea di avere passivamente condiviso un’imponente struttura scientifica costruita su un presupposto, lo spazio-nulla, che dovesse rivelarsi non rispondente a verità.
Da Aristotele in poi i filosofi, che hanno voluto affrontare il problema dell’esistenza di Dio, hanno proposto argomenti diversi e, tra questi, è prevalso il seguente principio: L’esistenza dell’universo presuppone quella di un Dio creatore responsabile, essendo improponibile un universo che abbia in sé la causa della sua esistenza.
In verità si tratta di un’affermazione non corretta, poiché, contemporaneamente, si ammette per possibile un’esistenza non creata quale sarebbe quella di Dio.
E’ lecito chiedersi: perché questa possibilità di esistenza non creata non può essere riferita all’universo che risulterebbe, in tal modo, essere l’unica realtà esistente con l’esclusione della presenza di Dio?
La mancata presenza del nulla, se da un lato incide in maniera negativa sulle possibilità creative di Dio, dall’altro, trattandosi di una verità, non può che facilitare il compito di giungere ad una dimostrazione della sua esistenza che, ritengo, sia prevalente rispetto al risultato da conseguire attraverso l’individuazione delle condizioni che avrebbero consentito di giustificare la nostra origine.
L’ipotesi attuale, che prevede la contemporanea presenza della sostanza e del nulla, non è stata mai sottoposta ad un rigoroso esame critico, perché considerata talmente ovvia da non richiedere questo esame.
Io, invece, ho ritenuto che debba rimanere utile e produttivo giungere almeno a sollevare il problema.
L’esistenza della sostanza non richiede particolari dimostrazioni, e le incertezze riguardano l’individuazione della sua origine.
Per il nulla il discorso è diverso poiché, nell’ipotesi assurda che fosse dimostrabile la sua esistenza, rimangono proponibili due possibilità: una prima che prevede che possa subentrare alla sostanza che, contrariamente al vero, dovrebbe risultare distruttibile, mentre una seconda, la più logica, ne prevede un’esistenza ab aeterno, in quanto il nulla, se avesse avuto un’origine, non avrebbe avuto altra possibilità che non fosse quella di subentrare a se stesso, il che finirebbe per annullare questa origine e, in queste condizioni, per non essere soggetto ad un atto creativo, la sua esistenza non potrebbe che essere considerata l’alternativa all’esistenza della sostanza.
Questa stessa ipotesi può essere applicata, con pari validità, alla sostanza che dovrebbe essere d’estensione infinita ed esistere ab aeterno, attributi questi che oggi vengono riferiti a Dio che, rimanendo esclusa l’esistenza del nulla, per essere questo la sua alternativa, finirebbe per trovarsi nelle condizioni di non poter creare (ex nihilo).
Affrontando quell’altra parte del problema che rispecchia gli attuali convincimenti che riguardano la collocazione da dare alla sostanza infinita, riconducibile a Dio, la soluzione prospettabile è la seguente: l’esistenza contemporanea della sostanza e del nulla aventi vite parallele e autonome e collocati in spazi separati di estensioni infinite. Naturalmente in questo caso si tratterebbe di applicare quella logica matematica che prevede la possibilità dell’esistenza di più infiniti senza però che rimanga esclusa quella dell’infinito assoluto che non si sa, in questo caso, a quale delle due entità andrebbe riferita.
A questo punto rimango del parere che la soluzione più logica del problema debba essere quella di credere nell’esistenza di una sola entità infinita, che si identifica con l’universo primordiale, con esclusione di qualsiasi altra presenza e giustificare l’esistenza di Dio, sia considerandolo una “pregevole inclusione” d’estensione finita, sia attribuendo questa presenza al risultato di un processo di trasformazione diversificata, che avrebbe interessato una porzione finita dell’universo primordiale e che avrebbe condotto alla presenza contemporanea, sia dell’immanente sia del trascendente, da considerare entrambi di estensione finita e provenienti da un’unica sostanza (monismo di sostanza).
Questa seconda soluzione, più ampiamente affrontata in questo testo, presenta il pregio di risolvere, in una volta sola, i problemi derivanti dall’atto creativo, e di quegli altri, legati al dualismo di sostanza. Questa ipotesi, anche se, per la sua semplicità, risulta preferibile, rimane da scartare perché lascia senza risposta il quesito riguardante a chi attribuire la paternità di avere promosso la trasformazione iniziale.
L’ipotesi dell’atto creativo ex nihilo, formulata da S.Agostino e fatta sua dalla Chiesa, evidenzia un problema d’impossibile soluzione perché derivante dalla prospettiva dell’esistenza di una sostanza eterna e infinita, affiancata da uno spazio-nulla anch’esso eterno e infinito, che lascia senza risposta il ruolo che dovrebbe rivestire il nulla che non fosse quello di fare da supporto ad un eventuale futuro atto creativo, possibile a verificarsi a condizione che la sostanza infinita disponesse di quei poteri speciali necessari per questo adempimento. Non essendo individuabile altro motivo che giustifichi la presenza del nulla, rimane incomprensibile l’abbinamento Dio – nulla, che dovrebbe risultare essere presente in natura ab aeterno, prima dell’atto creativo.
A questo va aggiunto che rimane ingiustificato l’atto creativo perché andrebbe riferito ad un’epoca recente, se rapportato all’esistenza ab aeterno delle due entità, e ciò perché rimane inaccettabile il “temporeggiare” di Dio, per un periodo infinitamente lungo, prima di giungere all’atto creativo, il che risulta ovviamente riduttivo della sua condizione di perfezione assoluta.
Altro valido motivo che lascia perplessità, riguarda la circostanza che oggi la scienza ci ha consentito di giungere alla conoscenza certa di tre date che riguardano: l’origine dell’universo (quattordici miliardi di anni fa), la nascita della Terra (cinque miliardi di anni fa) e l’origine della vita sulla Terra (cinquecentosettanta milioni di anni fa). L’enorme distanza di tempo che separa questi tre eventi, consente di escludere una dipendenza da un unico disegno, divino essendo improponibile l’idea che Dio avesse atteso che trascorresse un tempo tanto lungo per giungere al completamento della sua opera.
L’uomo da sempre si è trovato in seria difficoltà, per la mancanza di un riscontro nell’esperienza, a formulare l’idea della creazione tanto che è possibile scoprire l’esistenza di un processo evolutivo che ha accompagnato questa idea.
Inizialmente si è parlato di “generazione” che, se si presentava accettabile se riferita al mondo vivente, rimaneva incompatibile se riferita al mondo inanimato.
E’ mio convincimento che la successiva idea della creazione tragga la sua origine dalle primitive osservazioni astronomiche riguardanti le eclissi di Luna e di Sole. L’uomo primitivo non essendo in grado di dare una spiegazione a questi fenomeni, ipotizzò la presenza di un Dio malefico che distruggesse, ingoiandoli, ora la Luna, ora il Sole, con le conseguenze che conosciamo, e ciò fino a quando non fosse intervenuto altro Dio buono che, “creando” quanto era andato distrutto, avrebbe consentito il ripristino delle condizioni precedenti.
Data la rapidità dell’intervento divino, appariva ovvio che, in questo caso, non si poteva parlare di generazione, ma attribuendo alla Divinità poteri speciali, che, in quanto tali, non potevano trovare alcun riscontro nell’esperienza, si finì col formulare l’idea di un Dio creatore, ripiego necessario che si è rivelato, successivamente, utile per esaltare al massimo la potenza divina.
L’avere escluso, nel primo capitolo di questo libro, che Dio sia responsabile di un atto creativo e di avere identificato il suo intervento nel ruolo di promotore e guida di ogni forma di divenire, che riguarderebbe non soltanto il mondo inanimato, ma anche, e in modo speciale, quello delle creature viventi, comporta ugualmente il possesso di requisiti speciali che consentirebbero, non soltanto di pilotare gli eventi, ma anche di controllarli e, a volte, di potersi sostituire alle leggi naturali per giungere al verificarsi di fenomeni prodigiosi (miracoli).
Questa nuova figura di Dio, poiché non inficia il suo attributo principale di Potenza Somma, rimane da privilegiare, rispetto a quella tradizionale, che lo identifica nella veste di “creatore”, e ciò per due buoni motivi: un primo riguarda l’impossibilità di creare in assenza del nulla, un secondo va riferito a Cristo, che, pur identificandosi con Dio, non ha mai fatto miracoli riconducibili ad un atto creativo, ma ha dimostrato di essere in grado di dominare e, a volte, sovvertire le leggi della natura (ad es. la tempesta sedata), e la mancanza, nel corso delle sue predicazioni, di un detto che confermasse la credenza imperante di un Dio nel ruolo di creatore..
L’esistenza di Dio rimane dimostrata, sia dai miracoli, sia dai rapporti istaurati con l’uomo, documentati attraverso le “intuizioni” e, infine, dall’esistenza dell’anima che, per essere parte della “emanazione” divina, confermerebbe la presenza della Persona da cui proviene.
La Chiesa da sempre, in quanto tenace sostenitrice del creazionismo, si è dimostrata ostile all’accettazione delle nuove scoperte scientifiche e, in special modo, di quelle riguardanti la teoria dell’evoluzione, e le ipotesi sull’origine dell’universo, rimanendo ferma sul convincimento che esiste una sola verità, quella riportata dalle sacre scritture.
Soltanto negli ultimi tempi la Chiesa, avvertendo il serio rischio di risultare travolta dalle nuove acquisizioni riguardanti l’origine dell’universo, che finirebbero per mettere in forse la credibilità di una dottrina strenuamente difesa ricorrendo ad anatemi e a condanne per eresia, ha creduto opportuno di mitigare il suo atteggiamento, e ha manifestato una prudente apertura verso la scienza con l’affermazione che Dio andrebbe ritenuto essere il creatore di tutto ciò che esisteva prima del Big-Bang, il che ha finito per risultare una formale rinuncia all’atto creativo riguardante la luna, il sole, i pianeti, le stelle, la luce ecc.
Con l’introduzione della meccanica quantistica, a completamento della teoria della relatività, tutto risulta più complicato, poiché non verrebbe confermato che prima del Big-Bang non ci fosse assolutamente nulla poiché il vuoto quantistico, che precede il Big Bang, si differenzia in modo sostanziale dal nulla assoluto in senso teologico e perfino dal vuoto della fisica classica, poiché conterrebbe coppie di particelle e antiparticelle virtuali dotate di una quantità infinita di energia che, per la nota formula E = mc²; , equivale all’esistenza di una quantità infinita di massa.
Affrontando il tema della creazione nel 1990, sulla rivista Theological Studies il teologo cattolico americano Michael Burkley ammetteva: “Noi veramente non sappiamo come Dio abbia fatto. Il cattolicesimo non trova che sia uno scandalo ammettere questa ignoranza
Io aggiungo è uno scandalo continuare a sostenere, perché considerato verità, quanto è stato scritto nel libro della Genesi.
Ecco quindi l’importanza del modello del mondo fisico che ho elaborato poiché, oltre a dare una interpretazione nuova e, mi auguro, convincente ad importanti fenomeni fisici, s’inserisce nella diatriba permanente esistente tra Chiesa Cattolica e scienza prospettando una soluzione condivisibile ai problemi legati alla creazione.

Un importante risvolto della interpretazione data alla forza di gravità rimane la previsione di poter disporre, in un prossimo futuro, di una quantità, quasi illimitata, di energia cinetica a costo zero e senza rischi d'inquinamento ambientale; e ciò attraverso una metodica che consenta di pilotare il percorso dei gravitoni terresti e che si presenta di possibile realizzazione se si tiene conto di quanto è stato ottenuto con i fasci luminosi, attraverso l'utilizzo di fibre ottiche.