APPENDICE BIOGRAFIA
3
SUPERMONDO, un modello d'universo immaginario

 

 

 

 

E’ certo che rimanevano molti lati oscuri e incertezze, che l’introduzione del gravitone non è servita a dissipare, tanto che sono molti gli studiosi rimasti fedeli al primitivo concetto di forza, e ciò, anche in considerazione del fatto che questa particella non ha ricevuto conferme della sua reale esistenza.
In verità l’idea del gravitone è nata dal tentativo di individuare un denominatore comune a tutte le quattro forze fondamentali della natura, e poiché l’interazione riguardante le altre tre forze, avveniva attraverso la mediazione di una particella, si è pensato di estendere questa presenza anche all’interazione gravitazionale.
Questa particella è servita a giustificare l’interazione gravitazionale ma non già se questa sia di tipo attrattivo o repulsivo, entrambi presenti in natura. Da qui nasce la necessità di individuare i modi che conducono ai risultati delle osservazioni.
Premesso che il circuito ruotante, fatto di particelle cinetiche, presenta due versi opposti di moto, se immaginiamo che il suo asse di rotazione giaccia su un piano parallelo a quello della superficie terrestre, l’interazione tra gravitone e particella cinetica potrà avvenire soltanto nel momento che questa è diretta verso l’alto, poiché, in tal modo, i vettori velocità, avendo la stessa direzione, finiscono per sommarsi, mentre, nel caso che all’interazione fosse interessata una particella cinetica che si muova nel verso opposto, si giungerebbe alla risultante tra i due vettori, il che condurrebbe ad una riduzione della velocità della particella da estrarre che, ovviamente, risulterebbe dannosa al fine della mobilitazione delle particelle cinetiche dal proprio circuito; è presumibile, pertanto, che, per giungere a questo risultato, debbano verificarsi diverse interazioni “utili” che interessino più circuiti di particelle cinetiche, il che evidenzia il ruolo importantissimo che riveste “l’intensità” dei gravitoni.
E’ presumibile che la mobilitazione delle particelle cinetiche, che compongono il circuito ruotante, avvenga dopo che queste abbiano eseguito quella parte di percorso che le conduce ad una inversione del verso di rotazione e cioè in direzione del punto di origine del gravitone, risultato questo che starebbe ad indicare il verificarsi di un effetto attrattivo, mentre nei casi in cui il gravitone risulta essere in possesso di energia di maggiore potenza, si giungerebbe all’estrazione immediata della particella cinetica, e cioè prima che questa compia quel breve percorso che la conduce ad un’inversione di rotta, e, di conseguenza, in questo caso, l’interazione gravitazionale risulterebbe di tipo espulsivo. E’ quanto accade ai gravitoni che traggono origine da una stella poiché, in questo caso, risultano in possesso di energia di maggior potenza perché proveniente dalle reazioni termonucleari. Da qui l’ipotesi della contemporanea presenza, nel nostro universo, di fenomeni gravitazionali, sia attrattivi, sia respulsivi.
Si rende necessario, a questo punto, giungere ad un chiarimento sulla nascita del gravitone ritenuto oggi essere una particella virtuale che verrebbe emessa dal nucleo atomico. Si tratterebbe, invece, di una particella cinetica che avrebbe ricevuto energia magnetica (unitamente ad un quanto di massa addensato) dall’elettrone, al momento che questo percorra l’orbita precedente a quella conosciuta col nome di “stato fondamentale”, posizione questa che gli consente di trovarsi quasi a diretto contatto col circuito ruotante di particelle cinetiche, (è opportuno identificarlo col nome di circuito cinetico). Questo evento condurrà all’estrazione di una particella cinetica dal circuito e alla mobilitazione di quelle altre che lo compongono che, per questa nuova condizione, saranno più facilmente disponibili ad essere trasformate in gravitoni. Alla particella cinetica estratta è opportuno assegnare il nome di “gravitone di prima generazione” e ciò per poterla distinguere da altra analoga particella (gravitone di seconda generazione). La nascita di questa particella avverrà con un certo ritmo (frequenza), che rimane legato alla presenza dell’elettrone in quell’orbita che gli consente di promuoverne l’estrazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il gravitone, particella, molto veloce, perché in possesso d’energia elettromagnetica, è in grado di attraversare i corpi e di penetrare nello spazio atomico. Dopo avere percorso lo spazio che lo divide da un corpo in quiete e non impedito da vincoli, al momento dell’impatto col primo atomo che incontra, e che fa parte del “fronte d’avanzamento del corpo”, si dirige verso il circuito cinetico e, attraverso la cessione del proprio contenuto energetico ad una delle particelle cinetiche che lo compongono, determina altra estrazione analoga a quella che ha condotto alla sua nascita, il che conduce alla mobilitazione di altre particelle cinetiche che avranno il compito di “trascinare” nel loro moto l’atomo che le contiene, assumendo in tal modo il ruolo di “motrici” e, per il possesso dei vettori velocità e quantità di moto, anche quello di “particelle pilota“.
La particella cinetica che ha interagito col gravitone è da indicare col nome di “gravitone di seconda generazione”, perché destinata ad interagire con altra particella cinetica, contenuta nel circuito cinetico di altro atomo vicino, e a promuovere altra nuova estrazione, innescando, in tal modo, un effetto domino che si traduce in un aumento, progressivamente crescente del numero dei circuiti cinetici mobilitati, e nella diffusione, in tutto il corpo, di particelle cinetiche libere.
Questa ipotesi sulla nascita del gravitone, presentandosi il fenomeno in modo continuo, e interessando tutti gli atomi che compongono un corpo, lascia prevedere che un corpo in quiete possa automobilitarsi. Questa possibilità rimane riservata ad atomi singoli o a corpi di piccolissime dimensioni (pulviscolo, pollini ecc.) mentre rimangono esclusi altri corpi in quiete perché, “tutti” risultano impediti da un vincolo che, nella quasi totalità dei casi, è individuabile nel peso del corpo.
Nel caso che il moto di un corpo in quiete fosse promosso da altro corpo in movimento, non si verifica il trasferimento di particelle cinetiche ma dei “gravitoni di seconda generazione”, mentre. se a promuovere il moto è un mezzo meccanico, (motore a scoppio, elettrico, macchina termica), non si giunge ad una produzione e trasferimento di particelle cinetiche, ma di “gravitoni di prima generazione”, e ciò accade perché, in tutti questi casi, sono coinvolti elettroni liberi in movimento veloce, che trasferiscono con maggiore frequenza energia magnetica ai circuiti cinetici, finendo per coinvolgere particelle cinetiche in misura maggiore di quanto accade nei fenomeni gravitazionali, consentono, in tal modo, il raggiungimento di velocità elevate in tempi brevi.
Da tutto questo si deduce che il fenomeno di reciproca attrazione dei corpi non rimane legato alla massa, tanto da potere essere considerato un suo “attributo”, ma unicamente alla struttura atomica, per cui là dove questa struttura non fosse presente, verrebbe a mancare anche la forza attrattiva. Questa affermazione troverebbe una smentita nell’esistenza di una stella di neutroni oggi attribuita al risultato del collasso di una stella la cui massa risulti inferiore al valore di 1,44 della massa del nostro Sole, e ciò perché, si ritiene, per valori superiori si giungerebbe all’esistenza di un buco nero. Naturalmente in una stella di questo tipo che, ha una densità di 10^15; g/cm³, associata a dimensioni geometriche ridottissime (10-15 Km di raggio), venendo meno la presenza di una struttura atomica anche la forza attrattiva gravitazionale dovrebbe mancare, mentre, invece, rimane presente un’elevatissima accelerazione gravitazionale di superficie. Come giustificare questa grave contraddizione?
La risposta è semplice: la stella a neutroni non è il risultato del collasso di una stella ma si tratterebbe di un “residuo fossile”, risalente ai momenti iniziali della formazione del nostro universo, che risulterebbe essere formato da un ammasso di neutroni, originatesi dalla fusione di protoni ed elettroni avvenuta all’interno della primordiale nube d’idrogeno. In questa circostanza ogni nucleo atomico risulterà essere formato dalla sola particella neutrone che risulta circondata, come lo era prima della fusione, da circuiti cinetici e da particelle termiche.

Il veloce movimento rotatorio della stella verrebbe promosso dalla numerosa presenza di particelle cinetiche mentre i neutroni, ricevendo energia termica, unitamente ai quanti di massa che la contengono, acquistano una carica negativa, e, ruotando, finiscono per rivestire lo stesso ruolo degli elettroni, che li conduce all’emissione d’energia magnetica che, una volta trasferita alle particelle cinetiche, li trasforma in gravitoni, che risultano essere molto più numerosi di quelli provenienti dalle interazioni tra particelle cinetiche ed elettroni. In queste condizioni rimane giustificata l’esistenza dell’enorme attrazione gravitazionale di superficie nonché, per la presenza di un campo magnetico particolarmente intenso, perché legato all’enorme velocità di rotazione, (decine di giri al minuto secondo), l’emissione di radio-onde (pulsar).
Questa nuova interpretazione della gravità lascia prevedere alcune precise regole che verrebbero confermate dall’esperienza e cioè:

1) due corpi aventi la stessa massa non possono attrarsi reciprocamente se si trovano in stato di moto rettilineo poiché, in questo caso, i gravitoni, limitandosi a determinare un’accelerazione in un moto preesistente, consentirebbero il mantenimento di una equidistanza. Se così non fosse le gocce di pioggia si fonderebbero e sulla Terra giungerebbe una cascata d’acqua.

2) due corpi in quiete possono attrarsi a condizione che siano liberi di muoversi e non impediti da vincoli. Corpi che si trovino in queste condizioni non esistono nel nostro mondo poiché “tutti” i corpi in quiete lo sono perché impediti da vincoli, e, in queste condizioni, finiscono per farsi attraversare dai gravitoni.
Esiste, a conferma, un preciso riscontro sperimentale rappresentato dall’esperimento di Cavendish, riguardante un corpo in quiete, perché impedito da vincoli, e altro corpo libero di muoversi, ma soltanto di moto rotatorio.

Purtroppo il risultato è stato deludente, sia perché si è ottenuto di promuovere il moto in misura limitata, sia perché non si è tenuto in debito conto dell’azione “frenante” determinata dal lavoro compiuto avverso la forza centrifuga nel compimento del moto rotatorio, pertanto il valore di G (costante di gravità), ricavato da questo esperimento, rimane poco attendibile.
Un esperimento molto semplice è quello che si riferisce al lancio di una pietra in alto verticalmente: questa, prima d’invertire il verso del moto dovrà, ovviamente, rimanere in quiete anche se per un intervallo di tempo brevissimo. E’ proprio in questa condizione (in quiete e non impedita da vincoli) che i gravitoni sono in grado di agire e condurla in basso. Una terza regola fondamentale è la seguente:

3) un corpo in quiete non può attrarre o respingere altro corpo che si muove di moto circolare.
Questo dettato rimane in contrasto con gli attuali convincimenti rivolti a giustificare il moto dei pianeti attorno al Sole, della Luna attorno alla Terra e quello dei satelliti artificiali, poiché, si sostiene, questo moto servirebbe, attraverso l’istaurasi della forza centrifuga, ad opporsi alla forza attrattiva gravitazionale, il che finirebbe per escludere che possa esistere una forza gravitazionale che sia di tipo espulsivo, poiché, in questo caso, le azioni delle due forze finirebbero per sommarsi.
Si è da sempre ritenuta possibile in assenza d’attrito, l'esistenza di un moto circolare uniforme alla stregua del moto rettilineo uniforme. Questo errato convincimento rimane imperante perché, pur riconoscendo che questo tipo di moto va considerato accelerato, perché cambiano continuamente di direzione e verso i vettori che lo promuovono, non è stata presa in considerazione l’esistenza di un’altra accelerazione, da riferire ad un aumento del contenuto energetico, che si rende indispensabile per ovviare alla continua perdita di energia, prodotta dal compimento di quel lavoro avverso la forza centrifuga, in modo da consentire il mantenimento costante della velocità del percorso circolare. Senza un apporto energetico di provenienza esterna, si giungerebbe ad una riduzione della velocità e alla cessazione del moto.
Questo rilievo rimane di notevole importanza nella dinamica celeste, poiché consente di giustificare, sia la forma e la lunghezza dei percorsi orbitali, sia le velocità che verrebbero raggiunte.
Per comprendere come sia stato possibile giungere ai risultati che ci è dato osservare prendiamo in esame l’orbita lunare, molto vicina a quella circolare, che mantiene immutati percorso e velocità, risultato questo che risulterebbe incomprensibile se si tenesse conto della continua perdita d’energia a cui il nostro satellite è andato incontro nel corso degli anni trascorsi. In verità, in questo caso, ci troviamo di fronte ad un moto accelerato in quella giusta misura che consente di rimediare allo stillicidio d’energia. Un moto di questo tipo non può che essere gravitazionale. Questo ci conferma che i gravitoni terrestri invece di promuovere il moto attrattivo gravitazionale rimangono impegnati a produrre un moto circolare “accelerato” sul corpo lunare.
Va detto, per inciso, che l’uso del termine “accelerato” rimane improprio, se riferito ad un corpo che mantiene costante la sua velocità, ma non lo è se si considera che esiste una differenza sostanziale tra un corpo che mantiene costante la velocità e il contenuto energetico e altro corpo che mantiene costante la velocità attraverso un continuo apporto energetico.
Se ci riferiamo alle orbite dei pianeti, poiché i gravitoni non sono in grado di calcolare, nella misura strettamente matematica, la quantità di energia da mobilitare, per consentire il raggiungimento della condizione di moto uniforme, rimane logico supporre che questa condizione sia stata raggiunta gradualmente nel corso degli anni trascorsi, e ciò attraverso continue modifiche del percorso orbitale che avrebbero condotto ad una riduzione della velocità di rotazione e, conseguentemente, della forza centrifuga, e ciò, fino al raggiungimento di una condizione di equilibrio.
Questa ipotesi ci suggerisce che le orbite dei pianeti inizialmente siano state non soltanto circolari ma anche di corto raggio. Poiché per il raggiungimento della condizione di equilibrio è richiesta la compensazione delle perdite, che può essere ottenuta soltanto attraverso un aumento del contenuto energetico, si è reso necessario, per ottenere questo risultato, nel caso che l’aumento del contenuto energetico risultasse insufficiente, di giungere ad una modifica dell’orbita circolare che, assumendo una forma oblunga riduce la forza centrifuga e con essa la perdita di energia.
Questo argomento sarà completato quando sarà affrontato il tema riguardante la formazione del circuito orbitale dei pianeti e il fenomeno della precessione che riguarda il pianeta Mercurio.

4) Due corpi di masse diverse non possono attrarsi reciprocamente ma è soltanto il corpo di massa maggiore che può attrarre quello di massa minore. La spiegazione, che contraddice l’attuale convincimento che vuole che l’attrazione sia reciproca, va individuata nei valori dell’intensità dei gravitoni che, se trae origine da un corpo di piccole dimensioni, rimane inadeguata per attrarre un corpo più grande. Di rilevante importanza rimane un’ultima regola.

5) Un corpo in movimento con verso opposto a quello che sarebbe prodotto dalla gravità, non può essere sottoposto a questa, poiché verrebbe attraversato dai gravitoni per essere questa condizione equiparabile a quella di altro corpo che fosse impedito nel moto da un vincolo.
Nell’esperimento della pietra lanciata in alto si assiste ad una riduzione progressiva della velocità fino a giungere alla cessazione del moto. Oggi si ritiene che la pietra, andando verso l’alto, compia un lavoro e che sia costretta, di conseguenza, a cedere energia cinetica al campo gravitazionale che, a sua volta, la restituirebbe alla pietra sotto forma d’energia potenziale che, trasformata in energia cinetica, si renderebbe responsabile del successivo moto gravitazionale diretto verso il basso. In verità la riduzione progressiva della velocità della pietra, venendo a mancare l’attrito, non può, a rigore di logica, che essere attribuita alla perdita d’energia attraverso il compimento di un lavoro che, in questo caso, rimane escluso per la mancanza della gravità secondo quanto è stato previsto in precedenza dalla regola 5
La pietra, lanciata in alto, segue un percorso non già perpendicolare ma obliquo il che ci suggerisce che segue lo stesso percorso dei gravitoni che l’attraversano. Questa circostanza induce ad attribuire ai gravitoni altro ruolo unitamente a quello primario gravitazionale.
I gravitoni, dopo avere attraversato un corpo, al momento della loro fuoruscita, si renderebbero responsabili di un’azione di rinculo, reso possibile per essere dotati di quantità di moto non trascurabile, se si tiene conto che, pur essendo la massa piccolissima, la velocità è uguale a quella della luce. Questo evento, che si ripete in successione temporale, perché legato alla frequenza, finisce per essere equivalente a delle brusche frenate (o vincoli) che, ripetendosi in sequela, costringono le particelle cinetiche a lasciare il loro posto nei circuiti “motori” e fare rientro nei circuiti cinetici di provenienza, il che si traduce in una riduzione del numero delle particelle cinetiche preposte al moto del corpo e, conseguentemente, della velocità fino a giungere alla cessazione del moto, condizione questa che consente l’istaurarsi dei fenomeni attrattivi gravitazionali.
Questa interpretazione rimane valida anche in campo astronomico: un asteroide che si muove in direzione della Terra, quando giunge ad una certa distanza finisce per essere sottoposto alla gravità e, di conseguenza, il suo moto iniziale si trasforma in moto accelerato il che conduce ad un aumento progressivo della velocità e della quantità di moto e da qui i risultati devastanti prodotti dall’impatto col suolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ prevedibile che gli stessi effetti si verificherebbero nel caso che l’asteroide precipitasse sul Sole in cui è presente una gravità di tipo espulsivo, e ciò contrariamente a quella logica che farebbe supporre che questo tipo di gravità, esercitando un’azione antagonista al moto dell’asteroide, condurrebbe ad una rapida riduzione della velocità fino alla cessazione del moto seguito da altro accelerato di verso opposto.
La previsione invece vuole che i gravitoni solari si limitino ad attraversare l’asteroide per essere questo sottoposto a quel “vincolo dinamico” creato dal moto avente verso opposto a quello espulsivo gravitazionale. In questa circostanza s’inserisce il fenomeno del rinculo con conseguenze più catastrofiche da riferire all’enorme numero di gravitoni, di provenienza solare, che attraversano il corpo, il che lascerebbe erroneamente presumere, per la presenza di un’identità d’effetti, che la gravità debba essere attrattiva.
Questo esempio immaginario è stato fatto per giustificare lo scontro tra corpi stellari che è stato attribuito, erroneamente, ad una gravità di tipo attrattivo, e ciò perché rimane imperante, fino ai nostri giorni, il dettato di Newton che prevede che la gravità attrattiva, presente sulla Terra, vada riferita a tutti i corpi celesti.
Questa semplice interpretazione ci consente di ottenere informazioni certe riguardanti il peso della massa a riposo, e di sfatare, al contempo, l’errato convincimento, legato alla dinamica newtoniana, che vuole che la massa peso diminuisca con l’altezza in conseguenza di una diminuzione del valore di g, e ciò, dando per scontato che il valore del peso della massa debba rimanere immutato ad altezze diverse.
Questo dettato rimane in aperto contrasto con quanto è stato sostenuto in precedenza attraverso l’affermazione che il valore di g sia legato alla frequenza dei gravitoni, frequenza questa che, come quella che appartiene alla luce, rimane sempre la stessa a qualsiasi distanza dalla sorgente venga misurata, il che ci fa ritenere che, con l’altezza, debba necessariamente variare il peso della massa.
Newton aveva definito la massa una quantità di materia, quantità che, per essere misurabile, richiede due sole metodiche: una prima, consistente nel misurare il valore dell’accelerazione prodotta su una quantità di massa, da una forza nota, e questo avvalendosi per i calcoli della nota formula m = F/a, mentre, una seconda utilizza una bilancia a piatti che, a differenza del dinamometro, misura il peso della massa e non già la massa peso.
Utilizzando questo secondo procedimento si è costatato che il peso della massa rimaneva immutato a qualsiasi altezza avvenisse la misurazione, il che non sta ad indicare l’immutabilità del peso della massa, giacché anche il peso campione rimane soggetto alle stesse variazioni della massa sottoposta a misurazione.
Il peso di un corpo a riposo non rimane legato soltanto al suo contenuto di materia che, per la legge di conservazione della massa va ritenuto immutabile, ma va considerato un valore “acquisito” attraverso l’apporto della quantità di moto, trasmessa dai gravitoni attraverso il fenomeno del rinculo, che rimane strettamente dipendente dal loro numero per unità di volume (intensità) che sappiamo, così come accade per la luce, diminuisce progressivamente in misura inversa con il quadrato della distanza dalla sorgente. Ecco giustificata la diminuzione del peso del corpo con l’altezza.
Quando misuriamo il peso di un corpo per mezzo del dinamometro i risultati vanno riferiti, sia agli effetti prodotti sulla massa dalla gravità, sia a quelli prodotti dalla quantità di moto, che verrebbe trasmessa al corpo dai gravitoni attraverso il rinculo, e che, per la presenza sul dinamometro di un vincolo, s’inserisce immediatamente al momento della lettura.
Le stesse circostanze sono presenti se utilizziamo il metodo di promuovere un’accelerazione in un corpo in quiete attraverso una forza nota, poiché, in questo caso, il corpo, risiedendo sulla Terra, rimane permanentemente attraversato dai gravitoni e, pertanto, in possesso del peso della massa che rimane costante, poiché costante è la quantità di moto che la determina. La massa, misurata con una bilancia a piatti, risulta, in conseguenza della presenza di un vincolo, esclusa dagli effetti gravitazionali, ma non già da quelli da riferire al rinculo.
A questo punto rimane da capire come la presenza della quantità di moto possa essere responsabile di dare un peso alla massa. Quando lanciamo una palla al muro e questa rimbalza, una piccola parte della quantità di moto della palla si trasferisce al muro senza produrre effetti motori, e ciò accade per la presenza di un vincolo che costringe la quantità di moto a diffondersi sulla massa terrestre.
La quantità di moto, distribuita in una massa quasi infinita rispetto alla palla, riduce la velocità fino ad un valore nullo. Questo semplice esperimento ci dice che la quantità di moto può essere presente per un tempo brevissimo in un corpo in quiete perché impedito da un vincolo. Se riconduciamo questa esperienza a quella del rinculo, prodotta dai gravitoni, è possibile rilevare che sussiste, parallelamente al trasferimento della quantità di moto alla massa terrestre, un continuo nuovo apporto attraverso la frequenza. In queste condizioni entra in gioco un’altra grandezza che prende il nome d’impulso che è uguale a quello comunicato al corpo da una forza, e che è determinato da una variazione della quantità di moto che, nel nostro caso, va riferita ad un intervallo di tempo il che è equivalente.
Ben diverse sono le condizioni che sono presenti nella massa delle particelle subatomiche poiché queste, venendo a mancare gli effetti prodotti dai gravitoni, poiché non possono essere da questi attraversati, risulterebbero essere prive di peso trattandosi di una condizione “acquisita” e non già intrinseca alla massa, e da qui l’attendibilità della misurazione della massa di queste particelle in MeV. Poiché, quando si parla di massa inerziale, ci riferiamo a quella presente nei corpi che hanno acquisito il possesso di un peso, è presumibile che nelle particelle elementari venga a mancare col peso anche l’inerzia il che le renderebbe particolarmente sensibili all’azione delle forze elettriche.
Una conferma a questa nuova interpretazione ci proviene da un semplice esperimento che riguarda il caso di un secchio che verrebbe immerso in un contenitore d’acqua: è facile rilevare, in questa circostanza, la mancanza della gravità perché il secchio può essere agevolmente sollevato fino a quando non viene raggiunto il livello dell’acqua. Questo accade perché i gravitoni si limitano ad attraversare, sia l’acqua contenuta nel secchio, sia quella soprastante, ma sarà soltanto quando il secchio avrà raggiunto il livello di separazione con l’aria che questi potranno esercitare la loro azione di rinculo che produrrà sul secchio l’effetto di renderlo un po’ pesante e ciò fino al momento in cui sarà superato tale livello, quando, essendo presenti gli effetti attrattivi della gravità, il peso finirà per risultare essere quello gravitazionale misurabile col dinamometro. In questa circostanza la forza di Archimede riveste un ruolo secondario perché va riferita al secchio vuoto e, di conseguenza, sarà modesto il peso del liquido spostato.
Tutto questo ci dice che al gravitone è consentito di produrre, attraverso la mobilitazione di particelle cinetiche, un’accelerazione in un corpo che sia in movimento, o in quiete in assenza di vincoli, regola questa che si applica anche a quei gravitoni generati da macchine motrici o da una reazione chimica (fenomeno esplosivo). Il progressivo aumento della velocità rimane legato al numero delle particelle cinetiche che verrebbero mobilitate e, di conseguenza, alla frequenza con cui si susseguono i gravitoni. Dal momento che i riscontri sperimentali di quest’ipotesi variano da luogo a luogo, e nei diversi pianeti indipendentemente della loro massa, si rende necessario precisare quali sono le condizioni che vanno ritenute responsabili di determinare la frequenza dei gravitoni.